lunedì 31 maggio 2010

Eric Bibb – Booker’s Guitar



Se può un musicista ispirare un album intero di un altro artista, è questo il caso. Booker’s Guitar, uscito a fine aprile rappresenta l’ingresso ufficiale nei “Delta Mississipi Blues Singer” di Eric Bibb. Il bluesman di New York, con una famiglia di artisti alle spalle (lo zio, John Aaron Lewis, pianista e compositore, faceva parte del Modern Jazz Quartet e tra gli amici di famiglia figuravano Bob Dylan, Paul Robeson e Pete Seegers) da prova di quanto ha appreso durante la sua carriera suonando con chi ha tenuto vivo ed incontaminato il Delta Blues dal mondo pop quali Taj Mahal, Odetta, Charlie Musselwhite e Guy Davis.

Prima di parlare dell’album è giusta una divagazione su chi, quest’album, l’ha ispirato. Booker T. Washington White, detto Bukka White, è stato, insieme a Robert Johnson e John Lee Hooker, il capostipite del Delta Blues, genere ben definito di blues nato nella regione del delta del Mississipi, in cui chitarra e armonica fanno da padroni e che ha dato vita al modern jazz ed al blues odierno.

La nascita dell’album è legata ad un aneddoto molto particolare: dopo un concerto in un hotel di Londra, Bibb venne avvicinato da un fan, il quale gli mostrò una Resophonic National, chitarra del 1930 appartenuta a Booker White, la visione è folgorante per Bibb, che durante la notte scrive Booker’s Guitar, title track dell’album, registrata poi con la stessa chitarra: l’effetto è esplosivo, la voce di Bibb accompagna, in una sorta di Talkin’ Blues, la descrizione della famigerata chitarra, “…Booker’s guitar’s got a story to tell…”. Il proseguio dell’album si compone di tracce in cui la chitarra di Bibb arpeggia in un blues da anni ‘20 sempre definito e ben preciso. All’improvviso arriva Flood Water, canzone dedicata alla devastante inondazione del Mississipi del 1926, ma il riferimento all’uragano Katrina è palese. La canzone è aiutata dall’armonica di Grant Dermody che, apre e ridona quella dolcezza blues ad una traccia straziante.

“Train from Aberdeen” è stata ispirata dalla città natale di Bukka. Le uniche canzoni non originali sono “Wayfaring stranger” e “Nobody’s fault to me”, due classici blues eseguiti da centinaia di artisti (Led Zeppelin, Johnny Cash, Joan Baez..); la seconda, in particolare, eseguita a cappella con l’aiuto della sola armonica diventa forse la migliore versione che ci sia in giro. “Turning pages” è autobiografica e parla dell’amore di Eric per la lettura; la penultima canzone “Tell Riley”, scritta con il cugino di Bukka White, nientemeno che B.B. King (a cui è stato insegnato a suonare la chitarra dallo stesso Booker), accompagnata dalla solita armonica di Grant è un esempio dell’agilità vocale di Bibb nella sua interpretazione del Delta Blues. Il disco si chiude con “A-Z Blues” un blues dedicato a tutti i bluesman itineranti che definiscono la loro città la propria casa.

Nel complesso, i suoni dell’album che non si sentivano dagli anni ‘20-’30 riecheggiano con una semplicità non indifferente: l’armonica di Grant Dermody aiuta e non poco a raggiungere questo risultato. Un album veramente bello, nato oltre che dalla genialità di un artista, dallo studio ossessivo di un gruppo di bluesman che hanno fatto la storia della musica.

(Telarc), 2010, Blues

Tracce:

1. Booker’s Guitar
2. With my make I am one
3. Flood water
4. Walkin’ blues again
5. Sunrise blues
6. Wayfaring stranger
7. Train from Aberdeen
8. New home
9. Nobody’s Fault But Mine
10. One Soul To Save
11. Rocking Chair
12. Turning Pages
13. A Good Woman
14. Tell Riley
15. A – Z Blues

PFM – A.D. 2010 – La Buona Novella (Opera Apocrifa)

Era il 1970 quando nei negozi usciva La Buona Novella, primo concept album ed assoluto capolavoro di Fabrizio De André ispirato ai Vangeli Apocrifi. Quarant’anni dopo i PFM, che collaborarono con il cantautore genovese nella stesura delle musiche dello stesso album (a quel tempo erano conosciuti come I Quelli), ripresentano, grazie a nuovi arrangiamenti ed il contributo di musica inedita scritta appositamente, un album storico della musica italiana.

A.D. 2010 – La Buona Novella – Opera Apocrifa, uscito il 23 aprile su CD e doppio LP, oltre ad essere l’ennesimo omaggio a Fabrizio De André, mostra i PFM in piena forma, con quell’energia e quella musicalità progressive/rock che si erano già sposati perfettamente con la poesia di De André nel 1979, quando, dalla loro collaborazione nacquero due album (In concerto Vol.1 e Vol.2) diventati un simbolo di suggestiva musicalità e rigore artistico.

Nel’album non ci sono solo canzoni rilette, ma la fantasia artistica e la bravura di Di Cioccio e compagni rendono l’opera un nuovo concept album in cui i versi di Faber sono fedeli al concetto originale, mentre la musica si trasfigura in una narrazione armonica che conclude il percorso iniziato nel 1979.

La vera rivoluzione musicale di quest’album, per l’occasione ampliato di 30 minuti, sta nella singolarità di ogni brano che ha in sé un mondo di nuovi suoni, ballate, assoli corali e voli solistici che rendono il dramma umano il tema centrale del disco; l’immagine di Maria, offerta in sposa nel tempio nel brano L’infanzia di Maria, è sottolineata da una vibrante danza della tentazione, che evidenzia la curiosità dei pretendenti e la forte emotività. I cinque quadri nella Via della Croce tratteggiano i profili di sofferenza dei protagonisti con suggestioni sonore, evidenziando il compiacimento della Morte, la ferocia dei Romani, la pavidità degli Apostoli, il dolore palpabile delle madri dei tre crocefissi e il riscatto dei ladroni. L’album continua con esecuzioni tese a liberare musica e suoni, fino al grande finale del Laudate Hominem, con l’inedito Ode all’uomo inno solenne e terrigno dove la figura di Gesù diventa un compagno di strada dell’uomo, un fratello da imitare.

Le parole (immutate dall’originale) sono scandite con forza ritmica, quasi da voler sovrastare l’eco della musica, per renderle vere protagoniste dell’album in questo connubio fra rock e poesia che ha pochi simili.

Per concludere, sono già comparsi sui primi blog anti-blasfemi critiche al rifacimento dell’album per il tema trattato, per la troppa terrenità di Gesù, per l’assoluta non autenticità dei Vangeli Apocrifi. La scia di critiche che il disco si porta dietro dalla sua pubblicazione fu già chiarita dallo stesso De André in un intervista del settembre 1970: “Opera dissacratoria?Demistificante piuttosto. Ho cercato più di ogni altra cosa di umanizzare i personaggi, di mostrare come Maria sotto la croce è anzitutto una madre, con tutta l’ossessività che hanno le madri…E Gesù Cristo non è solo, nella scena culminante della passione, c’è il dolore umano con tutte le sue sfumature: le donne del popolo che si lasciano andare ai lamenti, le madri dei ladroni che si accaniscono contro Maria perché a loro non è concessa la consolazione di sapere che i loro figli risorgeranno”.

(Aerostella/EDEL), 2010, Progressive Rock

Tracce:

1. Universo e terra (Preludio)
2. L’infanzia di Maria (incluso La Tentazione)
3. Il ritorno di Giuseppe (incluso Il respiro del deserto)
4. Il sogno di Maria
5. Ave Maria (incluso Aria per Maria)
6. Maria nella bottega del falegname (incluso Rumori di bottega)
7. Via della Croce (incluso Scintille di pena)
8. Tre Madri (incluso Canto delle madri)
9. Il testamento di Tito
10. Laudate Hominem (incluso Ode all’uomo)

Jimi Hendrix - Valleys of Neptune


Sono tornati i riff più elettrizzanti del mondo della musica: Hendrix is alive!

Una serie di album postumi sta invadendo il mercato discografico, (la volta scorsa abbiamo parlato di Johnny Cash) ed ora è toccato ad uno dei personaggi più sfruttati da questo punto di vista, forse secondo solo ad Elvis, considerato che in vita è riuscito ad incidere tre soli album (Are You Experienced?, Axis: Bold As Love, Electric Ladyland) e dopo 40 anni dalla sua morte (settembre 1970), se ne trovano circa una trentina.

L’album, uscito il 9 marzo, si frappone tra l’ultimo disco della Jimi Hendrix Experience e quello che sarà considerato il quarto album (First Rays of the New Rising Sun) registrato nel 1970, pubblicato però, solo nel 1997.

Valleys of Neptune venne registrato tra l’ottobre 1969 e il maggio del 1970 negli studi Record Plant di New York ed è composto da 12 tracce, non del tutto inedite (alcune erano contenute in bootleg apparsi negli anni ’90); già dal primo ascolto il disco non trasmette quella continuità musicale che Hendrix amava dare ai suoi album: risulta confusionario, un taglia e cuci di pezzi singolarmente fantastici, ma che nel complesso non sono il racconto compiuto e organico di un album in piena regola; il periodo storico può creare un alibi, quel frenetico e confuso 1969, il cambio di formazione della Jimi Hendrix Experience (prima con Noel Redding, poi con Billy Cox al basso) ma nel complesso il disco resta sicuramente di non facile ascolto.

L’album si apre con Stone Free, riveduta, ma non troppo diversa dalla versione definitiva; la title track è un inedito (anche se un estratto di un demo con Hendrix e la sola presenza di Mitchell alla batteria e del percussionista Juma Sultan era stata pubblicata nel 1990); l’impennata del disco si ha con Bleeding Heart, graffiante rilettura dell’originale blues di Elmore James ed in Hear my train a comin’, sofferta e ossessiva con le sei corde urlanti alla maniera di Voodoo Child.

Mr. Bad Luck con i suoi riff pre Led Zeppelin e Deep Purple, verrà poi sviluppata in Look Over Yonder pubblicata in South Saturn Delta. Vera chicca dell’album è Sunshine of your love, cover dei Cream e pezzo che Hendrix amava particolarmente eseguire dal vivo, quì è presente per la prima volta in versione strumentale; l’ascolto prosegue tra Lover Man (canzone uscita nelle più svariate versioni), Ships Passing Through the Night (prima delle tre canzoni inedite), un rock blues potente grazie anche all’effetto Leslie con cui viene trattata la Stratocaster di Hendrix; Fire e Red House hanno parecchi tratti in comune con le versioni definitive. Chiudono il disco Lullabay for the Summer e Crying Blue Rain, entrambe inedite e ancora in fase embrionale.

Come già detto questo disco non avvicinerà di certo le masse alla scoperta del re della chitarra, troppo rude e più vicino agli audiofili di materia hendrixiana, ma c’è ancora tempo per l’uscita di un album che in occasione dell’anniversario della sua morte possa far gridare che Hendrix non se n’è mai andato.

(Experience Hendrix/Sony Music) 2010, Rock

Tracce:

1. Stone free
2. Valleys of Neptune
3. Bleeding Heart
4. Hear my train a comin’
5. Mr. Bad Luck
6. Sunshine of Your Love (instrumental)
7. Lover Man
8. Ships Passing Through the Night
9. Fire
10. Red House
11. Lullaby for the Summer (instrumental)
12. Crying Blue Rain

Johnny Cash - American VI: Ain't No Grave


Sono passati quattro anni dall’ultimo disco di inediti postumi prodotti dalla American Recordings e “The Man in Black” è tornato più potente che mai.

Dieci tracce che fanno di questo American VI: Ain’t no grave un’altra perla (di certo non la più preziosa) che si va ad incastonare nella meravigliosa discografia di Johnny Cash e della quale sembra essere anche l’ultima, considerando che questi trentadue minuti sono gli ultimi che Cash registrò prima della sua morte avvenuta nel Settembre del 2003. L’album è uscito il 26 Febbraio (data del 78° compleanno di Cash) e comprende cover di Sheryl Crow (Redemption Day), di Kris Kristofferson (For the Good Times), Ed McCurdy (Last Night I had a strangest dream) e di Bob Nolan (Cool Water). Tra le tracce spiccano anche l’unico inedito I Corinthians 15:55 e la title track (Ain’t No Grave) pezzo di pregevole fattura con i suoi rintocchi di un folk-blues gravoso ed un messaggio ben chiaro “…Well, there ain’t no grave/ Can hold my body down…”

Il disco non è l’opera migliore che nel corso degli anni Cash e il produttore Rick Rubin ci hanno regalato, ma comprende comunque pezzi di valore assoluto nei quali la forza, la speranza e la fede, il credo nel country portano a cosiderare le tracce un’appendice dell’ampia discografia (confidando nel risparmio di azioni di reiterato sfruttamento postumo) di chi ci saluta con un addio toccante, creato con quell’onestà e semplicità interpretativa che lo hanno portato ad essere, una delle cose più belle e sincere nella musica degli ultimi anni “…I have been around this land/ just doing the best I can…”

Le tracce, come il suo predecessore American V: A Hundred Highways, sono centrate sul tema della morte e della redenzione, dopotutto l’album è nato dopo la morte dell’amatissima moglie June Carter e in questi soggetti si rispecchia la malinconia, la voce più rotta, graffiata, ma sempre più incisiva e il desiderio di lasciare il suo testamento “…Don’t look so sad/ I know it’s over…” fino a quando come dice nell’ultima canzone “…until we meet again…”

(American Recordings/ Lost Highway) 2010, Country

Tracce:

1. Ain’t No Grave (Gonna Hold This Body Down)
2. Redemption Day
3. For the Good Times
4 . I Corinthians 15:55
5. Can’t Help but Wonder Where I’m Bound
6. A Satisfied Mind
7. I Don’t Hurt Anymore
8. Cool Water
9. Last Night I Had the Strangest Dream
10. Aloha Oe

Presentazione